Che essere Vic Mackey non è facile. Perché hai un figlio che soffre di autismo e lavori in un quartiere di inferno, con i tossici e gli spacciatori e le troie e i papponi e le gang. E per fare rispettare la legge, devi essere pronto a violarla, quella stessa legge. A chiudere un occhio, a fare accordi, a intascare bustarelle e a rubare soldi sporchi per il tuo fondo pensione.
Perché non sarai un poliziotto decoroso, avrai rubato e intascato bustarelle, ma intanto i casi li risolvi, i colpevoli li prendi, il quartiere lo tieni sotto controllo.
Ma intanto hai dei colleghi che hanno capito che non sei pulito e che il tuo capitano cerca di incastrarti, perché ha una carriera politica a cui pensare. E improvvisamente capisci che all’Ovile, così come nel distretto di Farmington non esistono il bianco e il nero. E’ tutto grigio, come te, ma ognuno è convinto di essere meno grigio degli altri.
La serie di The Shield è andata avanti per sette anni e ogni anno è stato all’altezza del precedente. Anche in momenti in cui pensavi che intervenisse la stanchezza, la serie di Shawn Ryan è filata giù liscia. Dura, cattiva, pessimista e tristissima. Una serie dove tutti farebbero di tutto per fregare quelli che considerano colpevoli di qualcosa – di crimini, di corruzione, di tradimento – e dove nessuno può esentarsi dal sentirsi in qualche modo sporco. Oltre a Vic e alla sua squadra – altri tre membri, a cui, alla fine, ci si affeziona da morire – ci sono i detective del reparto e il loro capitano, Aceveda, più tutta una serie di guest stars con i controcoglioni: tra gli altri Glenn Close e Forrest Whitaker.
La serie si recupera facilmente e merita di essere vista, perché è una delle migliori degli ultimi anni. Dopo la sua chiusura, niente ne ha preso il posto (per quanto Sons of Anarchy sembri in procinto di).